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mercoledì 27 marzo 2013

Torino: l'epopea di Capa in un folgorante bianco e nero

di Ioana Stefanelli



"La migliore mostra su Capa che abbia mai visto” e se lo dice John Morris, primo direttore della Magum Photos (fondata dallo stesso Capa) e grande amico del fotografo, c’è da fidarsi.

L’ormai 96enne, esordisce in  questo modo, all'inaugurazione della mostra del 14 marzo a Torino, città che dopo l'esposizione delle ironiche opere di Henri Cartier-Bresson dello scorso anno, che ha richiamato quarantamila visitatori,  ci presenta 97 densi bianco neri allineati in due lunghi corridoi al primo piano di Palazzo Reale, rappresentanti il significativo  percorso artistico e umano di colui che nel 1938 la Picture Post definì “il migliore foto reporter di guerra nel mondo”: Robert Capa.


Così, in occasione del centenario dalla nascita dell’artista, accade 
di veder sfilare sulle bianche pareti foto, ricche di una tale forza visiva e incisività che,  prima ancora che testimonianze di un’epoca, sono diventate icone, simboli di un contraddittorio ventennio.



Capa, nato  con il nome di Endre Friedmann in una famiglia ebrea di Budapest nel 1914, non era intenzionato a diventare un fotografo di guerra: furono le circostanze della sua vita a spingerlo. Iniziò come fotoreporter durante la  guerra civile spagnola (1936-39), proseguì poi attestando con i suoi scatti la resistenza cinese di fronte all’invasione del Giappone  (1938), la seconda guerra mondiale (1941-45) e ancora il primo conflitto Arabo-Israeliano (1948), e quello francese in Indocina (1954)

nella sua breve e folgorante carriera,  riuscì quindi a dipingere veri e propri affreschi storici di ben cinque conflitti, che non sono una mera documentazione di eventi, ma intrisi di una singolare sensibilità

« Capa sapeva che cosa cercare e che cosa farne dopo averlo trovato. Sapeva, ad esempio, che non si può ritrarre la guerra, perché è soprattutto un'emozione. Ma lui è riuscito a fotografare quell'emozione conoscendola da vicino. »

La vicinanza di cui parla John Steinbeck in occasione della pubblicazione commemorativa di alcune foto del fotoreporter, è la medesima di cui lo stesso Capa parlerà, affermando:

“Se le vostre fotografie non sono abbastanza buone, vuol dire che non siete andati abbastanza vicino”,

non è solo una vicinanza fisica al soggetto fotografato, ma una che porta all’immediatezza, all’empatia, all’umanità, alla bellezza struggente di immagini che riescono a mostrare l’orrore che affligge un intero popolo attraverso il volto di un bambino; determinante fu il fatto che Capa stesso fosse stato un rifugiato politico, un ebreo costretto a fuggire dalla nativa Ungheria. Queste esperienze segnarono la vita del fotografo, portandolo a sviluppare una profonda sensibilità, una fratellanza con i protagonisti dei suoi scatti, e una volontà di fare della fotografia un’arma di denuncia. Lo caratterizzò infatti un’urgenza tale da spingerlo a scattare avvicinandosi a pochi metri dai campi di battaglia, fin dentro il cuore dei conflitti.
Fu proprio tale urgenza però, a portarlo a prematura morte in Indocina nel 1954, su una mina anti-uomo, all’apice della sua gloria.
In seguito alla tragedia, John Steinbeck scrisse: <<…Mi sembra che Capa abbia dimostrato senza ombra di dubbio che un apparecchio fotografico può essere ben altro che un semplice meccanismo. Come per la penna, la foto vale ciò che vale l’uomo che se ne serve. Essa può essere la proiezione dello spirito e del cuore>>.


In modo potente e toccante, con immagini che sono entrate in maniera indelebile nell’immaginario collettivo del Novecento, Capa è in grado di descriverci gli eventi bellici attraverso singoli scatti, evocativi racconti.


Celeberrima icona, che quasi si confonde sui muri di Palazzo Reale tra altri intensi bianco neri, questa del miliziano spagnolo che cade colpito a morte sul fronte di Cordova, durante la guerra civile del 1936-39, tanto cruda e vera da essere diventata il simbolo non solo della lotta antifascista, ma indubbiamente anche della fondamentale opera del fotoreporter e della denuncia fotografica.




“Il  più lungo e importante del ’900 è secondo la maggior parte degli storici il 6 Giugno 1944, il D-Day, il giorno dello sbarco in Normandia.
Di quel giorno sono rimaste solo 11 fotografie, 11 immagini sgranate e leggermente fuori fuoco, 11 icone del secolo breve scattate durante l’alba più lunga. 11 fotografie scattate dal più grande e famoso fotoreporter di sempre: Robert Capa."




Il fotografo dimostra anche le sue grandi qualità di ritrattista con scatti che lo liberano, in parte, dall’etichetta del puro e duro fotografo di guerra: molte delle sue immagini, infatti, catturano, anche le gioie della pace e il glamour dei tanti amici scrittori, attori, giornalisti, artisti di cui si circondava. Capa forse per il carattere ,la bravura, l'entusiasmo entrò con facilità nel giro della grande cultura Europea conoscendo la amicizia di grandi e famosi intellettuali. Emerge da tali scatti la sua vena lirica  e talvolta anche spiritosa – tanto da essere paragonabile a quella di altri fotografi come André Kertész o Henri Cartier-Bresson





Ernest Hemingway





Robert Capa e Jhon Steinbeck


Henri Matisse










Ingrid Bergman
















Pablo Picasso con nipote
Truman Capote














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