di Ioana Stefanelli
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Così, in occasione
del centenario dalla nascita dell’artista, accade
di veder sfilare sulle
bianche pareti foto, ricche di una tale forza visiva e incisività che, prima
ancora che testimonianze di un’epoca, sono diventate icone, simboli di un contraddittorio ventennio.
Capa, nato con il nome di
Endre Friedmann in una famiglia ebrea di Budapest nel 1914, non era
intenzionato a diventare un fotografo di guerra: furono le circostanze della
sua vita a spingerlo. Iniziò come
fotoreporter durante la guerra civile spagnola
(1936-39), proseguì poi attestando con i suoi scatti la resistenza
cinese di fronte all’invasione del Giappone (1938), la seconda guerra
mondiale (1941-45) e ancora il primo conflitto
Arabo-Israeliano (1948), e quello francese in Indocina
(1954)
nella
sua breve e folgorante carriera, riuscì quindi a dipingere
veri e propri affreschi storici di ben cinque conflitti, che non sono una mera
documentazione di eventi, ma intrisi di una singolare sensibilità
«
Capa sapeva che cosa cercare e che cosa farne dopo averlo trovato. Sapeva, ad
esempio, che non si può ritrarre la guerra, perché è soprattutto un'emozione.
Ma lui è riuscito a fotografare quell'emozione conoscendola da vicino. »
La vicinanza
di cui parla John Steinbeck in
occasione della pubblicazione commemorativa di alcune foto del fotoreporter, è la medesima
di cui lo stesso Capa parlerà, affermando:
“Se le vostre fotografie non sono abbastanza
buone, vuol dire che non siete andati abbastanza vicino”,
non è solo una
vicinanza fisica al soggetto fotografato, ma una che porta all’immediatezza, all’empatia, all’umanità, alla bellezza struggente di immagini
che riescono a mostrare l’orrore che affligge un intero popolo attraverso il
volto di un bambino; determinante fu il fatto che Capa stesso fosse stato un rifugiato
politico, un ebreo costretto a fuggire dalla nativa Ungheria. Queste esperienze
segnarono la vita del fotografo, portandolo a sviluppare una profonda sensibilità,
una fratellanza con i protagonisti dei suoi scatti, e una volontà di fare della
fotografia un’arma di denuncia. Lo caratterizzò infatti un’urgenza tale da
spingerlo a scattare avvicinandosi a pochi metri dai campi di battaglia, fin
dentro il cuore dei conflitti.
Fu proprio tale
urgenza però, a
portarlo a prematura morte in
Indocina nel 1954, su una mina anti-uomo, all’apice della sua gloria.
In seguito alla tragedia, John Steinbeck scrisse: <<…Mi sembra che Capa abbia dimostrato senza ombra di dubbio che
un apparecchio fotografico può essere ben altro che un semplice meccanismo.
Come per la penna, la foto vale ciò che vale l’uomo che se ne serve. Essa può
essere la proiezione dello spirito e del cuore>>.
In modo potente e toccante, con immagini che sono
entrate in maniera indelebile nell’immaginario collettivo del Novecento, Capa è in grado di descriverci gli eventi
bellici attraverso singoli scatti, evocativi racconti.
Celeberrima icona, che quasi si confonde sui muri di Palazzo Reale tra altri intensi bianco neri, questa del miliziano spagnolo che cade colpito a morte sul fronte di Cordova, durante la guerra civile del 1936-39, tanto cruda e vera da essere diventata il simbolo non solo della lotta antifascista, ma indubbiamente anche della fondamentale opera del fotoreporter e della denuncia fotografica.
“Il più lungo e importante del ’900 è secondo la
maggior parte degli storici il 6 Giugno 1944, il D-Day, il giorno dello sbarco in Normandia.
Di quel giorno sono rimaste solo 11 fotografie, 11 immagini sgranate e
leggermente fuori fuoco, 11 icone del secolo breve scattate durante l’alba più
lunga. 11 fotografie scattate dal più grande e famoso fotoreporter di sempre: Robert Capa."Il fotografo dimostra anche le sue grandi qualità di ritrattista con scatti che lo liberano, in parte, dall’etichetta del puro e duro fotografo di guerra: molte delle sue immagini, infatti, catturano, anche le gioie della pace e il glamour dei tanti amici scrittori, attori, giornalisti, artisti di cui si circondava. Capa forse per il carattere ,la bravura, l'entusiasmo entrò con facilità nel giro della grande cultura Europea conoscendo la amicizia di grandi e famosi intellettuali. Emerge da tali scatti la sua vena lirica e talvolta anche spiritosa – tanto da essere paragonabile a quella di altri fotografi come André Kertész o Henri Cartier-Bresson
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Ernest Hemingway |
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